venerdì 30 marzo 2012

Io sono Euridice.

 
 
Io sono Euridice. Bellezza che svanisce.Io sono Euridice. Bellezza violata da dimensioni duplici di verghe spastiche. Io sono Euridice. Occhi increduli fra tenebre con sorrisi di lacrime donate alla speranza, all'amore. Io sono Euridice. L'attesa che copre il volto con quelle speranze già esaurite. Io sono Euridice. Paradosso del rinvigorimento deceduto.
Io sono Euridice. Dubbiosa nella tenebre fisso il fondo degli inferi. Io sono Euridice. Creatura infestata da crudele masochismo divino. Io sono Euridice. Bestemmiatrice di luci pericolanti. Io sono Euridice. Goditrice di un'illusione. Per quanto vera. Io sono Euridice. Portata lontana, quasi al varco. Io sono Euridice. Vidi luce, dopo miserevoli accecamenti tediosi. Io sono Euridice. Vidi luce, al seguito di una lama chiamata amore. Io sono Euridice. Vidi luce, con fatale umanità roteò il suo capo. Io sono Euridice. Allontanasi la luce e il mio finire indietreggiante come se nulla fosse stato. Io sono Euridice. Gli occhi lamenti di pelle squartata dal mio sguardo donante meritevoli compiacimenti. Io sono Euridice. Catastrofe raggirata dal destino luttuoso. Doppiamente luttuoso. Io sono euridice. Bellezza svanita.
            
Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.
Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.
Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.
Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.
Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.
Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.
Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.
Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.
Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.Io sono Euridice.



sabato 24 marzo 2012

S13.

Io ho sempre creduto che le città degli esseri umani, dall’ultimo attimo di luce fino al primo, si trasformino in splendide lune per indossare le migliori vesti  che opportunamente  tengono nascoste, in un folkloristico oblio. E si vestono, si coprono, come mai potrebbero pensare di fare durante il giorno. Perché le città, più che per chi, sono come chi le vive. Chissà perché, Milano corre con quell’irrefrenabile voglia di non perdere nessuna occasione, nessuna stravaganza, nessun treno e nessuna coincidenza e forse con quella inconsapevolezza di aver perso tutto tant’è estrema la mania del dolce far ogni cosa. Di notte, però, per alcuni soggetti non è così. Di notte sono i desideri a modificare i nostri lineamenti e Milano - atroce dolcezza - si trasforma in folle bellezza.. paurosa com’è di far vedere alla luce del giorno ciò che è; madre di tutti, perché figlia di nessuna. Fra le finestre di un tuo qualsiasi corso si nascondono indubbiamente esseri infelici; c’è chi ha deciso di essere figlio tuo e di non essere più ricordato dalle sue radici lontane e in chissà quale lucente capitale mediorientale, poi ci sono figli che maledicono il tuo essere così silenzioso e maldestro nell’offrire la possibilità di sbagliare talvolta irreparabilmente nelle trappole dei vizi. Tu, Milano, sei generosa anche nella tua cattiveria che tutti noi sappiamo essere la tua arma per darci considerazione. A marzo già ti vesti con un po’ di sole non troppo lucente e con un profumo di azzurro spento nell’aria. Chi non sente quest’odore io credo non ti abbia voluto conoscere abbastanza. Quella sera c’era del sangue colante da quanto immensa era la tua voglia di piangere dalle vene il  tuo insano masochismo con il quale tieni vicine le persone care facendole allontanare. Cosa mi darai in cambio? Un bilocale in una piazza con una statua di qualche illuminista, increduli della defecazione dei volatili? Un tempo indeterminato? Una follia perseguibile? Un amore a distanza a Palermo? Non so, a dire il falso. Per ora io mi perdo nei tuoi percorsi e nel tuo dover scappare proprio nel momento in cui sei appena arrivata correndo per restar lì poco meno di un attimo in cui tempeste ci rendono instabili. Mi perdo ovunque, consolandomi pensando che ci si può perdere solo se si ha una meta. Meglio di niente direi. Quante coincidenze rendi possibili sotto portici illuminati o vicino a lampioni scarabocchiati o in chissà quale altro tuo non luogo.

pro-ssimafermata milànomissori” diceva una voce inesistente comunque in grado di ricordarmi che devo scendere per poi attraversare le strisce pedonali per poi scendere sotto terra dove abbiamo costruito un nuovo mondo di stazioni.  Non avrei perso la metro se ci fossero stati quattro scalini in meno, e invece arrivo all’ultimo che la metro era già partita. Pazienza, per almeno cinque minuti e mezzo di attesa. Ho una certa mania io per le metropolitane; di solito nell’attesa cerco un posto della stazione in cui fermarmi e aspettare lì l’apertura inevitabilmente giusta delle porte e dello scompartimento… credo sia importante scegliere il luogo migliore, se questo devi condividerlo con altri esseri umani, per quanto la durata possa essere breve. Poi ho scoperto che l’intuizione non mi ha deluso. Ho iniziato a guardarti nel momento in cui sicuro un pensiero potente era in grado di annebbiare la vista per ogni silenzio percepibile da altri corpi generatori di emozioni nuove, impacchettate, non riciclate. Affossavo lo sguardo nel mondo, ad ogni sguardo che non mi hai donato. Gambe accavallate, tu qualcosa aspettavi. Una telefonata è arrivata. Ho sentito la tua voce. Non eri proprio figlio di Milano anzi, ho iniziato a chiedermi se avessi la percezione di dove fossi o forse semplicemente iniziavi a essere dove poco prima eri ma non c’eri più. Avrei voluto conoscere la tua mente, parlare dei tuoi problemi, escludere ipotesi, annuire alle tue domande retoriche. Avrei voluto conoscere la tua casa e i particolari delle tue mani che inesorabilmente sfregavano su un jeans a sigaretta grigio scuro nell’attesa di poter gesticolare per aggiungere enfasi ai tuoi pensieri uccisi da una rabbia, che si leggeva negli occhi. Perché non hanno avuto il coraggio di battere indulgenti sembianze al vero? Perché tu lo sai -perché tu poi l’hai capito- io tutto questo l’avrei tradotto con un tuo sguardo. La testa la tenevi appoggiata sul finestrone e su strisce gialle e su cartelloni che ci ricordano che è vietato suicidarsi in quel luogo e certo, lo fanno con frasi fatte e indirettamente. Ma il senso quello è. Io dovevo scendere e sapevo che quella sarebbe stata anche la tua fermata, perché il viaggiatore o chiunque non si ritenga arrivato alla propria destinazione si riconosce da quella compostezza che si tiene quando non si sa con chi abbiamo a che fare. Le tue azioni erano decise, i tuoi movimenti turbavano i miei umori tangibili perché sapevo che non per troppo tempo poteva durare la nostra non relazione. Milano Rogoredo. Sono incredibilmente in anticipo all' appuntamento di quella sera. In un certo senso non ho percorso la strada che avrei comunque dovuto fare, ma ho seguito la voglia di poter avere l’ultima occasione per catturare un tuo sguardo, percorrendo la tua strada. Appena uscito non ho più visto nulla che potesse somigliarti ma dentro di me qualcosa che ha nutrito la nostra non relazione c’era e sapevo dove avrei potuto trovarti. Sono entrato nella stazione ferroviaria, dove tutti aspettano qualcosa e mi piaceva pensare che io in realtà non stessi aspettando niente ma anzi ciò che cercavo era lì, davanti a me. Mi hai guardato ma la distanza fra noi era troppa per poterci davvero vedere. Ma questo è relativo, ci si può guardare senza vedersi, ne sono convinto. Se penso che voglio vedere qualcosa allora in un certo senso la sto guardando. Si chiudono gli occhi e guardiamo immagini talvolta mai viste o spesso mai più riviste… più che l’immagine spesso riusciamo a idealizzare nella nostra mente la voglia di rivedere l’immagine, ma non l’immagine stessa. Io sono sicuro, il tuo sguardo si è posato sui miei contorti umani. Un arrivo ed una partenza ha colpito per sempre questa storia d’amore. Io, fondamentalmente, ero arrivato ma il tuo S13 per Pavia ti obbligava ad abbracciare una partenza… perché il mio egoismo non poteva non farti raggiungere il tuo arrivo, malgrado la mia convinzione che mi faceva credere a una tua visione sempre più sbiadita in quanto possiamo incrociarci, potremo incrociarti, potremmo esserci già incrociati ma mai ci fermeremo nello stesso punto, perché questa è la punizione per vivere la nostra non relazione. Possiamo rivedere persone che mai abbiamo realmente visto? Voglio pensare che ci ritroveremo in qualche stazione ad aspettare treni in direzioni diverse, probabilmente sentiremo di essere vicini in qualche contrada di Madrid o per delle strasse di berlino. Ci ritroveremo nei luoghi dove nostri simili vivono e depositano ricordi in cui hanno vissuto la loro vita, costretti ad abbandonarli lontani da loro, ma abbandonati là dove quei ricordi sono nati cioè negli angoli di città straniere e di passaggio  o in qualche letto di albergo fra le lenzuola usate da gente che non c’è più o che lì ha depositato un amore o una lacrima nostalgica della propria casa.   Marc augè sbagliava; nei non luoghi noi ci incontriamo se pur a una condizione di non incontro; noi ci incontriamo e scambiamo e nutriamo le nostre esistenze. Io e te, non abbiamo scambiato una parola che avrebbe potuto rapire ognuno dalla propria vita per viverne una nuova di colore amianto, con riflessi che si nutrono della luce del sole. Ma cosa potersi dire, quando la mania si rende traduttrice del nostro tempo speso a sfamare le nostre emozioni riciclabili da un corpo all’altro? Cosa poter fare quando ci si rende conto di poter comunicare anche senza parola? Si rimane senza di esse, increduli che queste siano solo evocazioni di immagini.. che forse esisterebbero anche senza un nome. Troverò certamente in quello di qualcun altro ciò che ho creduto di aver trovato sul tuo viso, ne sono sicuro. In questo modo è come se trovassi te ogni volta che ho il desiderio di rivedere la tua immagine. Ne sono sicuro. Compra un souvenir dalla Pavia e poi abbandonalo; è nella inconsistenza dei giorni spesi nel nulla che il superfluo  esistenziale ci rende una sdegnosa rendita emozionale.

mercoledì 14 marzo 2012

Bilocale.61


Ci sono delle scatole da portare via, piene di tutto e alcune piene di nulla. Posso assolutamente palpare tutto ciò che potrebbe esserci dentro questi contenitori e immagino dei libri da cui bere verità collassate, dischi in cui si sono spenti e illusi desideri, dizionari per parole mai sentite, oggetti di plastica da poter buttare assieme a dei DVD o videocassette, le miserevoli fallite dal tempo.
Poi ci sono pupazzi reduci di un anomalo amore -questa ingannevole sconosciuta- pesanti come macigni stratificati da pensieri fluidi. Penso di poter vedere persino dei biglietti di un passante ferroviario perennemente in ritardo io, tanto da riuscire ad arrivare in anticipo per il prossimo utile. La sua data -io vedo anche questa- è 13 febbraio 2007. Color pesca è il suo destino. Assieme a questo biglietto non c'è solo un pezzo di carta sbiadita dai giorni che non vogliono far altro che passare; c'è un febbraio dolce col retrogusto amaro, un sole che non posso dimenticare – stranamente presente per essere in una realtà come quella a nord di Milano. C'è addirittura uno sguardo che guardava il vuoto di un altro sguardo; è che nell'errore viviamo solo per imparare poi la soluzione ultima, ingeriti da ingannevoli presagi corrosi da armonie disabili. Io attraverso quel biglietto ferroviario vedo una distorsione che il 13 febbraio 2007 pareva perfettamente retta. Strano come talvolta qualcuno o qualcosa riesca ad andare via, pur rimanendo immobile nei lineamenti di un giovane corpo triste. Ci sono altri biglietti degni di nota, senza data. Provo a immaginare cosa potrebbero suggerirmi biglietti indeboliti da questa loro mancanza; mi insegnano che siamo poco più che date, scanditi dal tempo... regolatore della nostra vita in fiamme. Non solo cose materiali ci sono, per quanto in una scatola ci sia uno spazio determinato. Ci sono amicizie e conoscenze logorate dal tempo che insensibili ci rende. Dentro ci sono pure volti anch'essi logorati. Ci sono parole mai dette che rimangono come lividi per un tempo indeterminato, costretti a sparire solo quando il loro essere cade nell'oblio di un dolore macinato da odori meschini di una legna bruciata fiacca di maestose gioie invernali.
Naturalmente ciò di cui sto parlando non è un trasloco, magari in un bilocale di poco più di sessantuno metri quadri. Ciò che penso di dover traslocare è uno spazio infinito oltre che indefinito, che non possono nemmeno le più auliche parole poter descrivere e fare immaginare alla mente cosa sia. Eppure non è un'azione inconsueta e penso che ciò di cui sto parlando venga fatto ogni giorno da ognuno di noi. Il trasloco è mentale allorché più micidiale perché è una dittatura che mi impone lo sterminio di pensieri che insalubri sembrano apparire. E allora altro non c'è che mettere in scatole tutto ciò e far sparire, dove ancora non si sa ma forse solo perchè non si vuole. Eppure questo istante sfuggì, come sa fare il beato all'orizzonte di un credente. Tutto è destinato a passare e talvolta pensieri vengono abortiti dall'inerzia, spregevole come cani arrossiti dal loro imbarazzo.
In fondo che cos'è la Terra, vista dalla luna, se non un grande sasso?