Lo spettacolo mentale ha inizio con poco. Potrebbe bastare una lacrima oppressa nel fiero inclinatore che la
trasporta al contrario. Credo nell’amore ad un tratto mi sono detto. Mi sono
anche detto mai più pensare, nel momento in cui pensavo di non pensare. Sarei voluto
tornare infante. Illuso. Giocatore; infante. Quel bambino non c’è più, quel
sano bambino si è smarrito là dove si è fermato. Sta giocando con la sua
macchinina preferita rossa e gialla e azzurra. Per caricarla serve una chiave; dimensione
fallica da infilzare in un buchino. Se stai male andiamo dalla dottoressa.
Cambiati le mutandine, andiamo dalla dottoressa. Da bambino facevo finta di
essere adulto. Quando diventerò adulto farò finta di essere un bambino. Io in
realtà pensavo che i grandi curassero i bambini per invidia, gli sportivi fossero dei bimbi a tempo perso e
le maestre custodi di un sapere che a lungo dimenticano di esserne a
conoscenza. La domenica non era triste. La domenica non era triste. La
domenica. Non era triste. Il mio dovere era il catechismo, ascoltarlo andando
in chiesa. In realtà non era solo mio quel dovere. È che gli adulti spesso
riproducono le loro colpe sui propri creati. Gesù risorto. Gesù risorge e
lascia vuoto il sarcofago. E dove va quando risorge? È in tutti noi. La
domenica non era triste. La domenica non era triste. Giocavamo e fra i nostri giochi c’erano dei ladri, ladri con
sembianze temporali che rubavano attimi di pura ingenuità. Com’è teatrale il
passato fallito. I nostri genitori ci guardavano nelle nostre illusioni credute
da noi realmente esistenti. Il mio angelo custode era ancora vivo. Adesso mi guarda
mentre profano bulimie di parole e di immagini rappresentanti i miei peccati.
Quando penso mento fra i miei peccati. La mia pelle è più scura perché
macchiata dall’ amore e dai peccati. Vorrebbe urlare e il suo silenzio lo sento
nel limite delle mie grinfie isteriche. Sì, sento la mia pelle urlare. Fatevi accarezzare, che domani più non
sarete così deliziosamente forti della vostra innocenza e in un domani sarete sempre
più vicini a noi, mentre saremo costretti ad allontanarci. Sento mio padre
chiedere umana comprensione, rapporti di dolcezza col nulla rimasto. Lento è il
suo svanire. Chiudo gli occhi. Vedo la sua vita che guarda scorrere quella
degli altri. Facciamo questo, quando fuggitivi i nostri sguardi si incrociano:
vediamo scorrere la vita. Mi chiedo se anche io lascerò una vita crescere su
questa terra. Mio padre probabilmente inizia a chiedersi se anche lui lascerà
una morte su questa terra. Osservo il nulla che si congela nel suo non essere. È vero che sul vuoto di un
sarcofago costruiamo? Forse, mura di eclissi sospette erigiamo dove
semplicemente già c’è qualcosa. Siamo per natura esseri inclini all’eutanasia.
Uccidiamo giorni infelici per sostituirli a dei giorni di gioia impraticabile.
La gioia mi fa ridere: solo mancanza di solitudine tradita dall’illusione data
dalla sua stessa assenza. Passano i giorni. Passa tutto. Costruiamo passaggi e incroci perché noi ci incrociamo nel
nostro essere di passaggio. Eppure il movimento non rende frenesia: essa è un
ripetersi di crudele danza di mutamento. La frenesia è tipica del silenzio,
dell’immobilità in turbamento per il collasso che non percepisce tempo. Non si
muove, la frenesia, nel suo ripetersi.
Stai leggendo i miei peccati ora, mio invecchiato custode. So che
questa luce abbagliante sono tue implorazioni che ricordano mia misericordia
perché sono i morti che pregano per i dannati ancora viventi e non il
contrario. Loro vengono contornati di invisibile freddura d’incenso quando
fuggono verso i nostri corpi iniettati di reale e ci baciano sulla fronte così
come noi sfioriamo con la bocca – fulcro delle nostre vertiginose lussurie - le
loro lapidi. E ci guardano mentre recitano caritatevoli poesie; “Perché non
muori mai, io ti amo di luce intensa, io ti voglio già qui, l’ombra umana più
non avrai, voglio vagare in eterno insieme a te, cos’è la vita in confronto”
penseranno nella loro materia inesistente tant’è immensa la loro voglia di
poterci dire il vero in contrasto con la vita. I defunti sono immersi nel loro
vagare vivendo una sconfortevole frenesia e solo i viventi, rimangono immobili
al cospetto dei loro sepolcri. È tua questa luce che si rispecchia nella
misericordia a me dedicata. Questo bagliore è una tua scia vagante, a meno che
tu non sia risorto. Il mio vuoto comunque è rimasto. La domenica non era
triste. La domenica non era triste. La domenica. Non era triste.