martedì 24 aprile 2012

mio invecchiato custode..


Lo spettacolo mentale ha inizio con poco. Potrebbe bastare una lacrima oppressa nel fiero inclinatore che la trasporta al contrario. Credo nell’amore ad un tratto mi sono detto. Mi sono anche detto mai più pensare, nel momento in cui pensavo di non pensare. Sarei voluto tornare infante. Illuso. Giocatore; infante. Quel bambino non c’è più, quel sano bambino si è smarrito là dove si è fermato. Sta giocando con la sua macchinina preferita rossa e gialla e azzurra.  Per caricarla serve una chiave; dimensione fallica da infilzare in un buchino. Se stai male andiamo dalla dottoressa. Cambiati le mutandine, andiamo dalla dottoressa. Da bambino facevo finta di essere adulto. Quando diventerò adulto farò finta di essere un bambino. Io in realtà pensavo che i grandi curassero i bambini per invidia,  gli sportivi fossero dei bimbi a tempo perso e le maestre custodi di un sapere che a lungo dimenticano di esserne a conoscenza. La domenica non era triste. La domenica non era triste. La domenica. Non era triste. Il mio dovere era il catechismo, ascoltarlo andando in chiesa. In realtà non era solo mio quel dovere. È che gli adulti spesso riproducono le loro colpe sui propri creati. Gesù risorto. Gesù risorge e lascia vuoto il sarcofago. E dove va quando risorge? È in tutti noi. La domenica non era triste. La domenica non era triste. Giocavamo e fra i  nostri giochi c’erano dei ladri, ladri con sembianze temporali che rubavano attimi di pura ingenuità. Com’è teatrale il passato fallito. I nostri genitori ci guardavano nelle nostre illusioni credute da noi realmente esistenti. Il mio angelo custode era ancora vivo. Adesso mi guarda mentre profano bulimie di parole e di immagini rappresentanti i miei peccati. Quando penso mento fra i miei peccati. La mia pelle è più scura perché macchiata dall’ amore e dai peccati. Vorrebbe urlare e il suo silenzio lo sento nel limite delle mie grinfie isteriche. Sì, sento la mia pelle urlare. Fatevi accarezzare, che domani più non sarete così deliziosamente forti della vostra innocenza e in un domani sarete sempre più vicini a noi, mentre saremo costretti ad allontanarci. Sento mio padre chiedere umana comprensione, rapporti di dolcezza col nulla rimasto. Lento è il suo svanire. Chiudo gli occhi. Vedo la sua vita che guarda scorrere quella degli altri. Facciamo questo, quando fuggitivi i nostri sguardi si incrociano: vediamo scorrere la vita. Mi chiedo se anche io lascerò una vita crescere su questa terra. Mio padre probabilmente inizia a chiedersi se anche lui lascerà una morte su questa terra. Osservo il nulla che si congela nel suo  non essere. È vero che sul vuoto di un sarcofago costruiamo? Forse, mura di eclissi sospette erigiamo dove semplicemente già c’è qualcosa. Siamo per natura esseri inclini all’eutanasia. Uccidiamo giorni infelici per sostituirli a dei giorni di gioia impraticabile. La gioia mi fa ridere: solo mancanza di solitudine tradita dall’illusione data dalla sua stessa assenza. Passano i giorni. Passa tutto. Costruiamo  passaggi e incroci perché noi ci incrociamo nel nostro essere di passaggio. Eppure il movimento non rende frenesia: essa è un ripetersi di crudele danza di mutamento. La frenesia è tipica del silenzio, dell’immobilità in turbamento per il collasso che non percepisce tempo. Non si muove, la frenesia, nel suo ripetersi.
Stai leggendo i miei peccati ora, mio invecchiato custode. So che questa luce abbagliante sono tue implorazioni che ricordano mia misericordia perché sono i morti che pregano per i dannati ancora viventi e non il contrario. Loro vengono contornati di invisibile freddura d’incenso quando fuggono verso i nostri corpi iniettati di reale e ci baciano sulla fronte così come noi sfioriamo con la bocca – fulcro delle nostre vertiginose lussurie - le loro lapidi. E ci guardano mentre recitano caritatevoli poesie; “Perché non muori mai, io ti amo di luce intensa, io ti voglio già qui, l’ombra umana più non avrai, voglio vagare in eterno insieme a te, cos’è la vita in confronto” penseranno nella loro materia inesistente tant’è immensa la loro voglia di poterci dire il vero in contrasto con la vita. I defunti sono immersi nel loro vagare vivendo una sconfortevole frenesia e solo i viventi, rimangono immobili al cospetto dei loro sepolcri. È tua questa luce che si rispecchia nella misericordia a me dedicata. Questo bagliore è una tua scia vagante, a meno che tu non sia risorto. Il mio vuoto comunque è rimasto. La domenica non era triste. La domenica non era triste. La domenica. Non era triste.

giovedì 12 aprile 2012

Parole già partorite

"La bandiera era verde, spiegava Palla di Neve, per rappresentare i verdi campi d’Inghilterra, mentre lo zoccolo e il corno simboleggiavano la futura Repubblica degli Animali che sarebbe sorta quando la razza umana fosse stata finalmente distrutta. Dopo l’alzabandiera tutti gli animali si recavano in truppa nel grande granaio per un’assemblea generale che si chiamava Consiglio. Qui si tracciava il piano di lavoro della settimana entrante e i progetti venivano esposti e discussi. Erano sempre i maiali che esponevano i progetti. Gli altri animali capivano come dare i voto, ma non riuscivano a concepire in proprio alcun progetto. […] Tutta la fattoria era profondamente divisa a proposito del mulino a vento. Oltre la questione del mulino, vi era la questione della difesa della fattoria. Come sempre palla di neve e Napoleon erano in disaccordo. Nel Consiglio della domenica successiva la questione se i lavori del mulino a vento dovessero cominciare o no fu posta ai voti. Quando gli animali furono tutti riuniti nel grande granaio, Palla di Neve si alzò e, benché talvolta interrotto dal belato delle pecore, espose le sue ragioni in favore della costruzione del mulino. Poi si alzò Napoleon. Egli disse tranquillamente che il mulino era una sciocchezza e che il suo consiglio era che nessuno votasse per esso; poi subito sedette. Non aveva parlato che per trenta secondi. Ma proprio allora Napoleon si alzò e gettando una strana occhiata di traverso a Palla di Neve emise un altissimo lamento, quale nessuno l’aveva mai sentito emettere. A questo rispose un terribile latrato, e nove enormi cani che portavano collare fecero irruzione nel granaio. Essi si avventarono su Palla di Neve che balzò dal suo posto appena in tempo per sfuggire alle loro feroci mascelle. Napoleon, seguito dai cani,  annunciò che da quel momento le sedute della domenica mattina sarebbero state sospese. Esse non erano necessarie e non costituivano che una perdita di tempo. Nonostante l’emozione provocata dall’espulsione di Palla di Neve…. gli animali furono costernati da questo annunzio."