Mi sveglio. Forse per il rumore di una goccia generata da vapore e caduta su tegole, l’inverno che dovrebbe allontanarsi dietro una tapparella abbassata invece ancora e prepotentemente si manifesta. Mi sveglio come nell’attimo in cui ho preso sonno: inconsapevolmente. Ore 3:12. Qualcuno griderà che è perfezione, questa eloquente e ripetuta sintonia di numeri. Conta note; suona numeri; arpeggia lettere. Mi dico che lascerò tutto. Abbandonerò tutto. A me stesso saprò sfuggire. Mi bagnerò da solo per timore di essere bagnato dalla pioggia. Mi dico che non c’è più tempo per rimanere in bilico. Finalmente fallire. Perché il primo passo per innalzarsi è crollare; quanta forza, talvolta, in una caduta.
Ventitré anni cazzo; ventitré anni avevi sul tuo viso.
Ventitré anni cazzo; ventitré anni avevi sul tuo viso.
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