domenica 25 agosto 2013

Estate. Scatti. Libro da infradito.



Trani. Un ultimo raggio, che saluta questa cattedrale.






Trani. Un sole che tramonta presto.
                                                                           Trani. Un campanile,
                                                                      che stona in piazza.




    Trani. Un giorno, che qui scorre piano. 
 
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 Torre Colimena.
 
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libro da infradito: (o libro dell'estate).
 
 
Wu Ming1 è l'autore principale. Un autore "senza nome" e senza volto, membro del collettivo di scrittori che col nome "Luther Blisset" firmò il romanzo "Q", che personalmente ho divorato solamente un anno fa e in poco più di una settimana.
Point Lenana l'ho trovato quasi per caso in biblioteca, partito con l'idea di voler leggere "54" sempre di Wu Ming. Invece, fra un libro collocato alla peggio e un altro, ho trovato questo che è pure molto più recente (aprile 2013). Incuriosito - senza sapere la trama - lo noleggio. Di cosa parla? Ancor non lo so. Sicuramente è ispirato alla storia personale di Felice Benuzzi, un alpinista e diplomatico italiano che, sul finire della seconda guerra mondiale, diventa detenuto politico ed è quindi costretto a vivere in un campo di prigionia inglese non lontano dal Monte Kenya. Da questo però evade assieme ad altri due compagni col solo scopo di scalare il Monte, raggiungendo la Punta Lenana e innalzando un tricolore italiano per poi scendere e riconsegnarsi agli ufficiali del campo. "Point Lenana" però, non parla di questo. Semplicemente perché questa avventura è già trattata dallo stesso Benuzzi in "Fuga sul Kenya. 17 giorni di libertà". "Point Lenana" è forse un romanzo. O forse è un saggio. Forse è un romanzo-saggio, o un saggio romanzo. Forse "Point Lenana" è semplicemente la storia della stesura del libro stesso e della ricerca delle fonti. Ma davvero la letteratura italiana si è abbassata a tanto? No. Dietro a questo lavoraccio c'è dietro non solo la scalata del Monte intrapresa veramente dallo stesso scrittore (perché in fondo un libro è un'esperienza, e non solo del lettore) ma c'è anche una ricerca di verità - tramite la Storia - che forse è possibile solo indagando e partendo da quella personale di un individuo e cioè da quella non ufficiale. Con la storia di Benuzzi, Wu Ming riesce a rispolverare fantasmi del nostro colonialismo (completamente dimenticato se non proprio mai studiato) da cui ci siamo silenziosamente "autoassolti" senza mai fare luce o chiarezza, così come abbiamo fatto per temi quali l'irredentismo, la questione friulana/triestina o le foibe. Ma ancora, sfata personaggi che la storia ufficiale trasforma in miti (Badoglio in primis, ma anche lo stesso Mussolini e il consenso ricevuto).
È un libro secondo me importante. Intanto perché è catapultato in un periodo di crisi che prima di tutto sembra sociale ed etica, e questo libro ne appare un riflesso. Ma un riflesso che non vuole sottolineare quanto il mondo sia brutto, quanto la crisi sia malefica e cattiva o quanto la politica faccia schifo ecc. Ne dà invece forse una soluzione, come a dire: in un'epoca di politiche che promuovono le varie Minetti o le varie Trote, dei vari Partiti Dormienti, dei Movimenti immobili o delle Italia Dei Valori Immobiliari ristrutturati con fondi pubblici "manonnesapevonientesonosereno" o dalle ricevute spese di matrimonio cadute casualmente tra i rimborsi regionali dalle mani di piccoli uomini folcloristicamente "manonnesapevonullahopienafiducianellamagistratura". O ancora: in un' Italia lacerata a tal punto che non sa se festeggiare i suoi 150 anni di Unità o che lancia le banane alla "negra ministra", che lascia cadere il suo passato rappresentato da suoi reperti archeologici eppure decisa a "fare il futuro" e il cui governo pende dalle mani (dalle mani.. nelle migliori ipotesi) di anziano pieno di sperma baciamano Mr. Qaid. Ebbene, in questo bassissimo ma ben preciso momento storico c'è spazio anche per questo libro che racconta lo studio della vita di un eroe non solo ingiustamente inconsiderato nazionale ma addirittura dimenticato, che con le sue improbabili forze fisiche di detenuto politico e  coi viveri razionati da dividere per tre persone, scala il Monte Kenya, raggiunge il suo Punto e innalza la nostra bandiera. Non contento, con una dignità tristemente incomprensibile per i nostri standard, ritorna nel campo di concentramento.
Perché noi non riusciamo a scalare il nostri problemi, i nostri -perdonate la sottile ironia- Monti? Forse non sempre bisogna guardare in sù. Forse non sempre bisogna guardare in avanti. A volte bisogna fermarsi, e guardare indietro. Guardare il passato e fare luce, per uscirne. Perché nulla, talvolta, è più improbabile del passato.